Omicidio di camorra, parla il testimone: "Lo strangolammo e lo finimmo a colpi di zappa"
L'assassinio di Gennaro Barba nel 1993 durante la faida tra i clan Contini e Lago

VILLA LITERNO – Nuova svolta nel processo per l’omicidio di Gennaro Barba, esponente del clan Contini, strangolato con una corda e ritrovato a Villa Literno il 27 ottobre 1993, che vede imputato Carlo Tommasiello, affiliato al clan Lago.
Il testimone
Davanti alla Corte d’Assise, presieduta da Marcella Suma, è comparso Domenico Bidognetti, alias “O’ bruttaccione” che ha reso delle dichiarazioni. In queste il testimone ha parlato degli ultimi istanti di vita di Barba.
La vicenda
La vittima venne prima portato in una masseria di Villa Literno in una proprietà di un parente di Pasquale Giovanni Vargas, condannato per il delitto a 9 anni. A sequestrare Barba furono un tale Vincenzo a’ bestia e Carlo Tommaselli. Bidognetti ha affermato di essersi recato alla masseria con il suo braccio destro Giuseppe Massaro. Sul posto oltre alla bestia e Tommaselli, cognato di Pietro Lago, c’erano Vincenzo Cantiello e Giuseppe Dell’Aversano. Bidognetti ha affermato che la vittima venne strangolata con una corda e che poi, visto che respirava ancora, venne finito da Vargas con una zappa con due colpi al torace e alla testa. Il corpo venne poi caricato su un’Alfa Romeo 133 e portato in un pozzo dove, dopo averlo spogliato venne lasciato cadere.
La ragione del delitto
La ragione dell’omicidio, stando alle dichiarazioni di Bidognetti, era legata al fatto che Barba era legato a “Peppe a’ masseria” Giuseppe Contini, clan in guerra con Pietro Lago. Probabilmente però era completamente innocente.