antica cittadella
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CASAL DI PRINCIPE - Verrà presentato nei prossimi giorni il ricorso in appello contro la sentenza di primo grado, emessa dal tribunale di Napoli Nord, che ha condannato a sei anni e due mesi il poliziotto Oscar Vesevo per il reato di peculato, ovvero per essersi impossessato durante le fasi di cattura del capo dei Casalesi Michele Zagaria di una pen drive che era nella villa-bunker di via Mascagni a Casapesenna (Caserta).

Vesevo è stato condannato anche per due truffe (assolto invece per altri 7 episodi analoghi), reati che però dovrebbero essere dichiarati prescritti in appello, essendo passati più di sette anni e mezzo dai fatti. Punto nodale della condanna è dunque la contestazione di peculato, anche se i giudici hanno escluso l'aggravante mafiosa - era contestata tanto per il peculato che per gli altri due reati, per i quali è stato assolto, di corruzione e accesso abusivo al sistema informatico - non condividendo l'ipotesi della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, secondo cui il poliziotto si era impossessato della pennetta perché il supporto conteneva i segreti del boss e dunque con l'intento di venderla e guadagnare quei soldi che gli servivano per pagare i debiti contratti a causa del vizio del gioco d'azzardo.

Durante il dibattimento è anzi emerso che la pen drive conteneva canzoni ed era probabilmente della figlia della coppia di fiancheggiatori che ospitavano Zagaria, ovvero Vincenzo Inquieto e la moglie Rosaria Massa, entrambi condannati per favoreggiamento; inoltre non è stata accertata alcuna vendita della pen drive, mai ritrovata.