antica cittadella
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SANTA MARIA CAPUA VETERE - Detenuti costretti dagli agenti a denudarsi più volte, a fare le flessioni e a tagliarsi la barba. È quanto raccontato dal testimone Alessandro Marino al processo per le violenze al carcere di Santa Maria Capua Vetere (Caserta), avvenute il 6 aprile 2020 in pieno lockdown per il Covid.

Il dibattimento davanti al collegio di Corte d'Assise del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, presieduto dal giudice Roberto Donatiello (a latere Honoré Dessi), con 105 imputati tra agenti penitenziari, funzionari del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap) e medici dell'Asl di Caserta, si sta svolgendo nell'aula bunker annessa al carcere. Marino, detenuto all'epoca dei fatti e costituitosi parte civile, rispondendo alle domande del pm Daniela Pannone ha ripercorso quei momenti, dalla mattina del 6 aprile, in cui "tutto sembrava normale con l'ora d'aria fatta verso le 9" al primo pomeriggio, quando "alle 15.30 dovevano venirci ad aprire le celle ed invece non sono venuti. Capimmo però che stava succedendo qualcosa, perché sentivamo le urla dei nostri compagni. Gli agenti iniziarono dal primo piano, poi alle 17.30 arrivano al quarto piano nella nostra sezione. Pensammo che fosse spedizione punitiva per la protesta pacifica del giorno prima, in cui avevano chiesto rassicurazioni sul Covid".

Marino racconta che nella sua cella arrivano parecchi agenti, "avevano caschi, manganelli, mascherine e passamontagna, non li conoscevo, ma loro stessi dicevano che erano del carcere di Secondigliano. Io e miei tre compagni, tra cui Lavoretano che aveva il busto, fummo fatti spogliare e costretti a fare le flessioni. Non cercavano nulla in cella, poi ci colpirono con i manganelli. Quando finimmo le flessioni, i miei tre compagni furono portati fuori, io invece no. A me intimarono di tagliarmi la barba in tre minuti, altrimenti me l'avrebbero levata loro con le mani. Mi dissero 'fai schifo' e 'volevi fare il boss' visto che poco prima avevo risposto male ad un agente".