Lavoro irregolare, business da 68 miliardi. Caporalato piaga nel Casertano
I dati emersi dagli studi e dalle analisi della Cgia di Mestre
PROVINCIA – Ammonta a 68 miliardi di euro il volume d’affari annuo riconducibile al lavoro irregolare presente in Italia. Il 35 per cento circa di questo valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa è ascrivibile alle regioni del Sud. Le persone coinvolte nel nostro Paese dall’economia sommersa sono poco meno di 3 milioni1 e anche in questo caso è il Mezzogiorno la ripartizione geografica del Paese che presenta la percentuale più elevata: ovvero il 37,2 per cento del totale. Tuttavia, il fenomeno ormai è esteso anche al Centronord ed ha una presenza record soprattutto nel settore dei servizi alle persone (colf, badanti, etc.). Il tasso di irregolarità di questo settore raggiunge il 42,6 per cento. Al secondo posto scorgiamo l’agricoltura con il 16,8 per cento e al terzo le costruzioni con il 13,3 per cento. Quelli appena richiamati sono alcuni flash emersi da un’analisi condotta dall’Ufficio studi della CGIA. 1 Quando l’Istat suddivide il numero dei lavoratori irregolari per i settori di attività conta 2.990.000 unità di lavoro standard. Ovvero, come se in Italia ci fossero 2.990.000 persone che lavorano irregolarmente per 8 ore al giorno. Quando, invece, li suddivide per regione, l’Istat stima in 2.848.100 le persone occupate irregolarmente nel nostro Paese.
Economia in nero: in testa Calabria, Campania e Sicilia
Come dicevamo, il valore aggiunto prodotto nel 2021 dal lavoro irregolare in Italia è stato pari a 68 miliardi di euro, di cui 23,7 miliardi nel Mezzogiorno, 17,3 nel Nordovest, 14,5 nel Centro e 12,4 nel Nordest. Se misuriamo l’incidenza percentuale di questo ammontare sul valore aggiunto totale regionale, la quota più elevata, pari all’8,3 per cento, interessa la Calabria. Seguono la Campania con il 6,9 per cento, la Sicilia con il 6,6 per cento e la Puglia con il 6,2 per cento. La media nazionale è del 4,2 per cento. Dei 2.848.100 occupati non regolari stimati in Italia dall’Istat, 1.061.900 sono ubicati nel Mezzogiorno, 691.300 nel Nordovest, 630.000 nel Centro e 464.900 nel Nordest. Se calcoliamo il tasso di irregolarità, dato dal rapporto tra il numero degli irregolari e il totale occupati per regione, la presenza più significativa si registra sempre nel Sud e, in particolare, in Calabria con il 19,6 per cento. Seguono la Campania con il 16,5 per cento e la Sicilia con il 16 per cento. Il dato medio Italia è dell’11,3 per cento (vedi Tab.1).
Badanti, agricoltori ed edili i settori con più irregolari
I 3 milioni di unità di lavoro standard (ULA) presenti in Italia che esercitano un’attività lavorativa in palese violazione delle norme fiscali, contributive e in materia di sicurezza, “provocano” un tasso di irregolarità del 12,7 per cento. Gli altri servizi alle persone è il settore che “annida” il maggior numero di irregolari: precisamente poco più di un milione di ULA che dà luogo ad un tasso di irregolarità di questo settore pari al 42,6 per cento. Tra i comparti più interessati dal lavoro Ufficio Studi CGIa – Associazione Artigiani e Piccole Imprese Mestre – CGIa Via Torre Belfredo 81/e – 30174 Venezia-Mestre – www.cgiamestre.com 3 nero scorgiamo l’agricoltura che, secondo l’elaborazione realizzata dall’Ufficio studi della CGIA, presenta un tasso di irregolarità del 16,8 per cento (205.800 ULA). Di seguito scorgiamo le costruzioni con il 13,3 per cento (220.200 ULA) e il commercio, trasporti, ricettivo con il 12,7 per cento (691.700 ULA) (vedi Tab. 2). Al netto di chi lavora nei servizi di cura alla persona, va segnalato che per gli altri settori dove c’è più nero è più elevato anche il rischio incidenti nei luoghi di lavoro.
Caporalato e agroalimentare
Da sempre il fenomeno del lavoro nero/forzato è legato al caporalato. Anzi, in moltissimi casi il primo è l’anticamera del secondo; non solo in agricoltura o nell’edilizia, ma anche nel tessile, nella logistica, nei servizi di consegna e di assistenza. Ad essere sfruttati sono i più fragili, come le persone in condizione di estrema povertà, gli immigrati e le donne. Il comparto maggiormente investito da questa piaga sociale ed economica è sicuramente l’agricoltura. Lo sfruttamento della manodopera in questo settore è riconducibile alla presenza simultanea di queste criticità:
l’uso massiccio della forza lavoro per brevi periodi e in luoghi isolati, che spesso portano alla creazione di insediamenti abitativi informali;
le condizioni inadeguate sia dei servizi di trasporto che di alloggio;
lo status giuridico precario o irregolare di diversi lavoratori migranti.
Fenomeni di caporalato ai danni degli immigrati sono presenti da moltissimi decenni nell’Agro Pontino (LT), nell’Agro nocerino-sarnese (SA), a Villa Literno (CE), nell’area della Capitanata (FG) e nella Piana di Gioia Tauro (RC). Senza contare che da almeno venti anni decine e decine di casi sono stati scoperti e perseguiti dalle forze dell’ordine anche nelle aree agricole della pianura padana.